PIAZZETTA
SAN LORENZO
Cammino
più velocemente che posso.
Sono
le dodici e trenta di una domenica, e piove a dirotto. La piazza
davanti alla basilica della città è deserta, i negozi chiusi
amplificano una sensazione di vasto abbandono. Ci sono solo io, a
quest'ora, in questa città? Sto attenta a dove metto i piedi, a
testa china. Percepisco la forza delle costruzioni intorno , quasi lo
spazio tra me e loro fosse un vuoto pieno di impalpabili eppur reali
presenze.
Quando
c'è gente che si muove o cammina non si fa caso ai portici, ai
palazzi, li si dimentica: sono lo sfondo della nostra quotidianità,
la scenografia entro la quale si intrecciano le nostre parole, le
nostre vite.
Ma
da una piazza così, deserta, emerge la potenza della materia,
qualcosa di imponente e segreto si sprigiona dai portici, dalle case,
dalla facciata della chiesa.
Penso
che la materia abbia una voce: quella inchiodata nella pietra, di chi
quegli edifici ha costruito, di chi forse nell'opera ha lasciato
anche la vita. Non mi riferisco alla voce della Storia, ai monumenti
archeologici che si onorano in tutto il mondo, ma a qualcosa di più
intimo e nascosto, ad una mano , ad un volto, ad un corpo che alla
costruzione ha dato se stesso. Uomini, anime. In mattine come questa,
quando non c'è nessuno in giro e il silenzio conosce solo la musica
della pioggia , tale voce può manifestarsi a chi voglia ascoltarla.
È
quella che sale dalla piccola panca di pietra della piazzetta San
Lorenzo, che sporge dal muro della basilica. Stamane non vi siedono
l'immigrato, o il ragazzo o la coppietta, ma essa porta in sé tutti
i corpi, e i pensieri, di chi vi ha sostato. Il muro da cui sporge
tondeggia come la carezza di una mano su un volto, e contiene,
all'interno, il divino.
Penso
alla voce delle pietre mentre vado alla breve svolta, a sinistra. Ed
ecco, come se mai li avessi visti prima, s'alzano a ombrello due
ulivi. Emergono, di fronte alla panca di pietra, come due fiori
sullo stelo. Folti e rotondi, leggermente inclinati sui passanti, ne
tutelano il percorso, lo addolciscono.
Allora
mi fermo , torno qualche passo indietro. Osservo . Questo è un
piccolissimo passaggio di città, come accade nei centri storici . Ma
stamattina, come solo nei piccoli passaggi dei centri storici delle
città accade quando sono deserti, si è manifestata una magia,
complice la voce della pioggia.
Dai
tetti, dai muri, dai portoni, financo dal selciato, fitte si sono
levate presenze, e ad essa hanno affidato le loro voci. Infinite e
molteplici, un incommensurabile coro di voci raccolto nel bruire
dell'acqua che chiede ricordo, rispetto, culto della memoria.
Mi
fermo sotto un ulivo, gocce attraverso le fronde chiosano la
preghiera. Ogni goccia una voce, una delle mille e mille di chi operò
in questo luogo, una delle moltissime che forse, una sera o un
giorno, disse su quella panca : “Ti amo,” per la prima volta.
Sto
ferma fino ai brividi di freddo, a osservare la grazia con cui il
tronco degli ulivi esce dal terreno. Penso alla sacralità del lavoro
dell'uomo, all'infamia di chi, per lucro o per altro, lo distrugge
.
Giovanna
de Luca
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