LA
DECISIONE
Alla
fine, un giorno, aveva deciso: non avrebbe scritto più, nemmeno un
rigo.
A
che scopo farlo? Le ragioni per cui non valeva la pena scrivere
facevano ampiamente aggio su quelle per cui valeva la pena farlo.
Le
stava rianalizzando ora, seduto su una panchina davanti al lago, nel
deserto di un pomeriggio feriale. Ultimamente cercava la solitudine
più di quanto avesse mai fatto, sembrandogli di percepirsi in essa
come una creatura esistente per davvero, con quel corpo, quel viso,
quegli occhi, e non come una nullità galleggiante in una folla.
Accomodatosi per benino, accavallate le gambe, fissò un punto sulla
parete selvosa di fronte e si concentrò sulla solita analisi.
Primo:
la questione del “successo”. Era prioritaria, va da sé. Si
scrive per essere letti. Se si è letti vuol dire che si è bravi. O
no? È noto tuttavia che molti libri di grande successo devono la
propria fama non alla sostanza del contenuto, ma ad altre sotterranee
e labirintiche ragioni. E su questo terreno, per carattere, egli era
solo in grado di perdersi.
Per
arrivare al successo, che per lui significava avere la percezione di
esistere, aveva tentato tutte le strade possibili. L'arido lavoro in
un ufficio, dove si recava ogni mattina, gli consentiva
fortunatamente di godere di un discreto tempo libero, che dedicava
alla sua passione: la letteratura. Infatti era laureato in lettere.
Per frequentare quella facoltà, aveva dovuto in casa combattere una
dura battaglia: di famiglia modesta, i genitori con sacrificio lo
avevano avviato agli studi superiori, nel sogno di vederlo
raggiungere “una posizione”. Dopo qualche anno di insegnamento,
fallimentare perché non sapeva comunicare con i ragazzi, preso
com'era dal desiderio di affermazione personale, si era accomodato ad
essere poco più di un passacarte, nell'ufficio dove non gli si dava
credito ma era tutto sommato benvoluto. I suoi, ora anziani, si
erano rassegnati a vedere quel figlio unico ormai di mezza età
vivere immusonito e solitario, perduto nelle sue fantasie, nei suoi
disinganni, e soffrivano per lui, in silenzio. Infine non sapeva
amare: le ragazze con cui era entrato in relazione lo avevano dopo un
poco lasciato. Con suo sollievo, bisogna dire, perché non era in
grado di gestire un rapporto umano nella realtà, ma solo nella
finzione . Perché,va riconosciuto, sapeva scrivere.
Perciò
aveva tentato la scalata all'affermazione, cioè alla ricerca
dell'editore che pubblicasse i suoi scritti. Da uno all'altro, dal
piccolo editore di provincia al più importante in sede nazionale, da
un concorso di poco conto a uno di prestigio, da un salotto
all'altro, da una conoscenza all'altra, da un inchino a un altro...e
così via. Convinto che servisse qualche santo in paradiso, si era
perfino infilato nei salotti della politica, dove si era mosso come
un pesce fuor d'acqua. E non c'era evento cui non partecipasse, e non
c'era manifestazione cui non andasse... Aveva ottenuto qualche
piccolo riconoscimento, incaponendosi sempre più nell'intento di
“arrivare alla fama”. O tutto o niente, e se niente doveva
essere, tanto valeva non scrivere più.
C'era
poi stata la seconda ragione che lo aveva indotto a deporre la penna:
il denaro. Il suo stipendio non era granché, i genitori ce la
facevano appena con la sola pensione del padre ed egli spesso si
sentiva in dovere di aiutarli. Per le frequentazioni che si era
imposto, occorreva mantenere un certo tono : solo chi ha denaro,
pensava, può permettersi di fare il bohémien! Essendo povero, era
costretto a incredibili rinunce: mangiava poco e male, dormiva ancor
meno perché la notte scriveva storie che nessuno avrebbe mai letto,
era sempre più magro e patito, anche se elegantissimo. Quando un
giorno il padrone di casa lo aveva affrontato con violenza sulle
scale, minacciando denunce, aveva capito che così non poteva
continuare. Con la scrittura, fino ad allora, ci aveva rimesso, mai
guadagnato. E allora era necessario cambiar vita .
Cosa
poteva fare, per rimpinguare lo stipendio? Ma naturale, dare
ripetizioni, non era forse laureato? Anzi, pensò alzandosi dalla
panchina mentre cominciava a fare troppo fresco, domani pomeriggio
avrebbe avuto quello studente debole in italiano...Uno, il solo: e
chi più andava a lezione di italiano, ormai? Lingua morta, pensò
con sdegno, sostituita da segni che odiava su orribili moderni
ordigni...
C'era
stata poi la terza ragione. La riconsiderò, percorrendo il
lungolago: nodo bruciante dell'anima. Cosa sarebbe rimasto di lui,
dopo la morte? Se non riusciva ad essere un grande scrittore la cui
fama sopravvivesse, se le sue carte, i suoi libri, il suo corpo e i
suoi pensieri erano destinati ad essere pulvis et umbra, a che scopo
scrivere? Tutto è nulla, si ripeté affacciandosi alla balaustra, ed
il resto è silenzio.
Così,
da un anno ormai, non scriveva più. Salutati gli “amici” che si
era andato a cercare, lasciati i luoghi che vanamente aveva
frequentato, venduta l'automobile di lusso, cambiata casa , si era
detto: “Adesso, invece di scrivere, vivrò. Come il mio collega:
senza grilli per la testa, accontentandomi di quel che posso
permettermi, vivrò di qualche buona lettura, del sole sul lungolago,
di quattro chiacchiere al bar. E la domenica starò con i miei
vecchi, che ho fatto patire abbastanza. E poi c'è quella ragazza, in
ufficio...chissà!”
La
canna di un pescatore sotto di lui ebbe un fremito, il pesce si
dibatteva disperato. Perché la cosa lo impressionò?
Si
allontanò dal lago, prese la via interna del paese, di negozi e
caffé..La mattina era andato a presentarsi in un'azienda, dove una
circostanza insperata gli aveva aperto una nuova possibilità di
lavoro, un po' più remunerato. Lo aveva accolto una giovane donna
bionda, avvenente, dal piglio sicuro, come di chi sa comandare.
Seduto davanti a lei, imbarazzato da quell'imperiosa femminilità,
aveva presentato il curriculum, risposto alle domande. Lei lo
fissava, impenetrabile. Ne colse solo un guizzo dello sguardo sul
collo della camicia, stazzonato. Poi entrò un uomo, un anonimo
dirigente con cui furono scambiate parole di circostanza. Per un
momento la giovane donna e il dirigente si appartarono nel vano della
finestra e a lui parve che la giovane sorridesse ironicamente.
Lo
accompagnarono alla porta, gli dissero: “ Le telefoniamo noi “.
Uscendo,
aveva percorso un lungo corridoio su cui si aprivano uffici dove
aveva visto donne e uomini di età diverse seri, quasi cupi, piegati
su carte e computer. Una ragazza con un foglio in mano lo aveva
maldestramente urtato, né si era sognata di fare un cenno di scuse.
All'ingresso, abituato con il vecchio portiere dello stabile in cui
lavorava, aveva detto: “Buongiorno”, senza ricevere risposta, se
non un indecifrabile sguardo. Ora, tornando a casa, ricordava di aver
provato una anticipata nostalgia per i suoi compagni di lavoro, che
nulla sapevano della sua decisione di cambiamento: quanto era buona
la collega che a volte passando gli accarezzava maternamente la
spalla, fraterno il ragazzo sveglio che all'altro capo della stanza
gli schiacciava un occhio, e simpatico il collega grassoccio con le
sue barzellette un po' spinte! Ma quello era un piccolo ufficio.
Questo, se lo avessero assunto, era ben altra cosa. Né avrebbe avuto
più tempo per scrivere. Ah, già, stava dimenticando che non
scriveva più.
E
arrivò all'angolo da cui si diramavano le principali arterie del
paese: alle spalle il lago, di fronte una via in salita, a destra la
provinciale che, attraversando l'abitato, proseguiva a sinistra verso
un' altra cittadina e il confine con la Svizzera.
Fu
in quel punto che fu costretto a fermarsi, folgorato da una novità
inaspettata: all'altro angolo della strada, in diagonale rispetto a
lui, luccicante, luminosa nelle due vetrine, bellissima, risplendeva
una libreria! Una nuova libreria, in tempi in cui molte chiudevano!
Attraversò
la strada senza badare alle auto, si appiccicò ad una vetrina, poi
all'altra: multicolori, studiatamente disposti, i libri riempivano
gli spazi, da uno all'altro lo sguardo percorreva immagini autori
case editrici fascette, più seducenti di gemme, più affascinanti di
qualsiasi attrattiva.
Dentro
di lui scoppiò una tempesta: si sentiva il piccolo pesce appena
visto, che si dibatteva all'amo della grande azienda del mattino. Si
vide prigioniero, incupito su un computer, isolato tra compagni di
sventura. Con qualche soldo in più, ma senza la voglia di aprire la
finestra sul lago, la sera, e respirare la luna. E gli autori, di
cui vedeva i nomi, sarebbero forse diventati “famosi” solo perché
erano in vetrina? Gli era più necessario scrivere o diventare
“famoso”?
Velocemente
prese la strada di casa, sospinto da una forza irresistibile. Appena
entrato telefonò al recapito dell'azienda, lasciò un messaggio in
cui diceva che il lavoro non gli interessava più. Poi si sedette al
suo tavolo, e cominciò a scrivere. Tutte le storie accumulate in un
anno gli premevano dentro, tutti i personaggi pensati si affacciavano
a pretendere giustizia, gridavano al tradimento.
Scrisse
fino a notte inoltrata. Quando si alzò dalla sedia andò alla
finestra, l'aprì: il lago increspava le acque, che in tenui fruscii,
al ritmo di un respiro, accarezzavano la riva. Sull'altra sponda le
luci si indovinavano appena.
Una
immensa felicità lo invase pian piano, mentre il mondo reale si
allontanava da lui: il piccolo pesce era tornato nella sua acqua, e
lì sarebbe rimasto, fino al compimento del proprio destino.
Giovanna
de Luca
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