MOMENTI
Uscì
sul balcone.
La pienezza del giorno era distesa sulla valle che, ingrigita dall'inverno, si mostrava brulla. I rami erano secchi e contorti, le macchie verdi dell'estate brunastre.
S'affacciò, chiuse gli occhi. L'intenso tepore del sole, pur essendo gennaio, le penetrava la pelle, le scaldava gli abiti. Con più determinazione strinse le palpebre, offrendo il viso al sole. E con la mente trasformò le intristite betulle in ombrelloni variopinti, e la valle in una immensa spiaggia dorata...
Poi li socchiuse fino a indovinare tra le ciglia il profilo delle colline, e queste furono onde in lontananza, danze nella luce marina...
*
Al tramonto, nelle giornate invernali serene, lasciava lo scrittoio e si appostava dietro i vetri.
Lì rimaneva fino all'ultimo scorcio di sole, seguendo ogni sfumatura delle nuvole, il loro arrossire, poi l'assanguarsi , come di un velo purpureo e screziato che una mano avesse tirato sul cielo.
Alitava da esso una vita lontana, che si mostrava agli uomini nel momento di sparire nel buio, con una forza e una bellezza quasi insopportabili.
Tale vita giocava di pennello, lasciando ampie e lunghe strisce d'azzurro tra le nubi infuocate.
Il lago perdeva protagonismo, quasi si chiudeva in una chiarità dimessa, da comprimario o da”spalla”: le grandi protagoniste erano loro, le nuvole, fatte di niente eppure così prepotenti.
Più tardi, la sera, tornava talvolta a guardare l'onda di scuro velluto che toglieva i contorni alle colline, e l'ammiccare delle luci, tra le case e le strade.
*
C'erano giorni, nella cattiva stagione ma ormai spesso, in cui una nebbia fitta lambiva i muri. La casa era come un grande bozzolo, un gomitolo d'ovatta. Dentro, le pareva che la sua vita strisciasse, da finestra a finestra. Eppure la visuale non cambiava da una stanza all'altra: gli stessi alberi sfatti, lo stesso muro bianchiccio e compatto. Sul balcone, il gelsomino pareva una creatura a disagio, capitata lì per errore.
C'era stato un tempo in cui nelle giornate di nebbia la casa era nido, riparo caldo e rassicurante : il mondo fuori indifferente,se non dimenticato.
Allora la nebbia raccoglieva nelle mura domestiche i pensieri e gli affetti, anche quelli lontani prendevano corpo dal pensiero, la nebbia non li avrebbe potuti inghiottire, perché più forte era la difesa .Ora essa era una prigione, un assedio. Non riempiva, svuotava. E tutto inghiottiva.
Ogni tanto, per farsela amica, apriva la finestra,e la respirava profondamente.
© GdL
La pienezza del giorno era distesa sulla valle che, ingrigita dall'inverno, si mostrava brulla. I rami erano secchi e contorti, le macchie verdi dell'estate brunastre.
S'affacciò, chiuse gli occhi. L'intenso tepore del sole, pur essendo gennaio, le penetrava la pelle, le scaldava gli abiti. Con più determinazione strinse le palpebre, offrendo il viso al sole. E con la mente trasformò le intristite betulle in ombrelloni variopinti, e la valle in una immensa spiaggia dorata...
Poi li socchiuse fino a indovinare tra le ciglia il profilo delle colline, e queste furono onde in lontananza, danze nella luce marina...
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Al tramonto, nelle giornate invernali serene, lasciava lo scrittoio e si appostava dietro i vetri.
Lì rimaneva fino all'ultimo scorcio di sole, seguendo ogni sfumatura delle nuvole, il loro arrossire, poi l'assanguarsi , come di un velo purpureo e screziato che una mano avesse tirato sul cielo.
Alitava da esso una vita lontana, che si mostrava agli uomini nel momento di sparire nel buio, con una forza e una bellezza quasi insopportabili.
Tale vita giocava di pennello, lasciando ampie e lunghe strisce d'azzurro tra le nubi infuocate.
Il lago perdeva protagonismo, quasi si chiudeva in una chiarità dimessa, da comprimario o da”spalla”: le grandi protagoniste erano loro, le nuvole, fatte di niente eppure così prepotenti.
Più tardi, la sera, tornava talvolta a guardare l'onda di scuro velluto che toglieva i contorni alle colline, e l'ammiccare delle luci, tra le case e le strade.
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C'erano giorni, nella cattiva stagione ma ormai spesso, in cui una nebbia fitta lambiva i muri. La casa era come un grande bozzolo, un gomitolo d'ovatta. Dentro, le pareva che la sua vita strisciasse, da finestra a finestra. Eppure la visuale non cambiava da una stanza all'altra: gli stessi alberi sfatti, lo stesso muro bianchiccio e compatto. Sul balcone, il gelsomino pareva una creatura a disagio, capitata lì per errore.
C'era stato un tempo in cui nelle giornate di nebbia la casa era nido, riparo caldo e rassicurante : il mondo fuori indifferente,se non dimenticato.
Allora la nebbia raccoglieva nelle mura domestiche i pensieri e gli affetti, anche quelli lontani prendevano corpo dal pensiero, la nebbia non li avrebbe potuti inghiottire, perché più forte era la difesa .Ora essa era una prigione, un assedio. Non riempiva, svuotava. E tutto inghiottiva.
Ogni tanto, per farsela amica, apriva la finestra,e la respirava profondamente.
© GdL
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