sabato 28 aprile 2018



TULIPANI

Tulipani d'infanzia, esili soldatini lungo il
viale: chinata al vostro chiudervi in corolla
cercai misteri dentro voi nascosti,
fui vinta dai colori e la mia casa fu
una reggia difesa da steli di guerrieri.
Vissi in un sogno, passi bambini sulla
bianca ghiaia, e mi bastava il tocco
delle dita sul profilo di un fiore.

Fu triste il giorno in cui dimenticai di
avervi amato, e ricercai la conoscenza
e il senso di quel vostro rinchiudervi, ed
offrirvi al desiderio di più capire - d'ogni
cosa al mondo il perché e il come.
Così vi persi, e solo al risentire quanto
leggero allora era il mio passo di voi
che tanto amai torna memoria

                          (c) GdL




domenica 22 aprile 2018


A UN AMICO LONTANO

Ti ho pensato, al balcone,
mentre immergevo gli occhi
nel verde rifiorito.
Mi manchi? Certamente,
spesso talmente forte
da non avere posa.
Vederti, anche un momento.
Parlarti, una sola parola.
Ma l'ora troppo dolce ti
faceva ad un punto così
lontano da sfumare i
contorni del tuo viso,
quel tanto che ricordo.

Ti ho pensato, ti ho visto
chinato alla ricerca di parole,
o forse no, piegato su un
cespuglio ad innaffiare.
Oppure no, al volante,
o a chi ti è caro accanto.

Ti ho pensato, e niente unisce
come l'immaginar senza sapere.
Cosa potrà mai, infatti, staccare
più da me questo pensiero
che ti faceva lì, così vicino?
Non c'è incontro che possa
andarsene per sempre,
non c'è traccia che il tempo
coi suoi passi cancelli.
Nemmeno questa ora così
dolce, nel tramonto d'aprile.
© GdL

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lunedì 16 aprile 2018

RONDINI
E mi hanno ombreggiato al semaforo,
improvvise, radenti tra i tetti.
Lo stormo veloce, un velo brevissimo
d'ali ha segnato nel cielo
la traccia, richiamo e memoria
di instabili passaggi

(c) Gdl


mercoledì 11 aprile 2018




CORE 'NGRATO

Sabato mattina.
È una giornata finalmente serena, la gente percorre le vie del centro tra commissioni e gusto del passeggio, i tavolini all'aperto cominciano ad essere occupati. C'è un'aria tranquilla, si respira abbandono alla desiderata primavera.
Anch'io cammino nella stradetta parallela al Corso, la mente concentrata sulle spese che voglio fare. Ed ecco, avvicinandosi il punto in cui tale strada sfocia sulla piazza della Basilica, ecco improvvisa mi travolge una ventata di suono: “Catari', Catari', / pecché mme'' ddice sti pparole amare?! Pecché... “. Mi fermo perplessa, la voce è potente, da tenore, bellissima. Lo sguardo si volge istintivamente alla Basilica. C'è un funerale, il carro funebre aspetta .
Guardo a destra: accovacciato, seminascosto nell'angolo dell'arco, un artista di strada canta e suona. “Nun te scurdà ca t'aggio dato 'o core, Catari'”.
L'istinto primo è di ribellione, un funerale e una canzone napoletana come si accordano?
Ma la voce pervade ogni angolo dell'arco, ne esce , si spande nell'aria. E il testo è poesia, è rimprovero, rimpianto, angoscia, una canzone classica delle più belle napoletane, cantata da grandi tenori. Canta a occhi chiusi l'artista, è magrissimo, avvolto in panni scuri indefinibili, quasi incollato all'angolo del muro. Nessuno si ferma, pochi euro brillano nel raccoglitore, e la sua voce si alza , si alza, tocca il soffitto dell'arco, ne esce e va, va , fino al carro funebre. “Core, core 'ngrato...”. E intanto la bara esce dalla chiesa e nella luce del mattino i due eventi non mi sembrano più contraddittori, né irrispettoso il canto. Mi abbandono alla melodia, e morte e vita si avvincono in essa: “T'hê pigliato 'a vita mia / Tutto' è passato / E nun ce pienze cchiù”.
Ora si è fermato qualcuno, un attimo. La canzone finisce, mi avvicino, mi complimento con lui, gli chiedo se ha mai tentato la via della lirica. Non mi capisce, non è italiano, forse slavo. Mi domando se comprenda quello che canta . Noto il suo largo, mite sorriso. Per un momento ci guardiamo, in silenzio. Gli dico: “Ancora “. Lui annuisce, chiude gli occhi ed ecco si rialza, potente, la sua voce: “Catari', Catari', che vène a dicere...”
© GdL