PRESEPE
Il
giorno se ne andava, appena un po' più lungo di quelli precedenti.
Era infatti dicembre, e ormai Natale.
Natale:
che magica parola era stata per tanto tempo, nell'infanzia! Per anni
i regali, i giochi coi cugini, le leccornie... non si poteva dire se
fosse più bello girare per negozi e bancarelle, prima per mano a un
genitore, più tardi da sola, orgogliosamente cresciuta, se fosse più
bello scegliere il dono per un parente o un amico o cercarne uno per
sé.
E
il giro dei presepi, dove lo mettiamo? La città dove aveva passato
l'infanzia era ricca di chiese, dunque di presepi. Quando la mamma
(più che il papà) diceva: “Oggi pomeriggio andiamo a vedere i
presepi”, la bambina sentiva un gioioso sfrigolìo nell'animo, e un
misterioso senso di attesa. Le visite ai presepi che da adulta meglio
ricordava erano avvenute tra i quattro e gli otto anni, e comunque
prima del catechismo, della comunione e della cresima. Persisteva in
lei per tutto il tragitto fino alla prima chiesa un senso di mistero,
la percezione di andare a vedere l' immagine di qualcosa di
avvincente, che non si rivelava negli altri giorni , ma solo in
quello chiamato Natale.
La
mano materna era stretta e dolce, a evitare i piccoli inciampi, i
saltelli pericolosi tra le ampie pietre della città antica.
Poi
si entrava. La chiesa era semibuia, un solo angolo ampio di luce
accendeva il desiderio, e una leggera, inspiegabile paura: assai più
tardi avrebbe saputo che ogni attesa ha in sé un'ombra di paura.
Le
mani aggrappate al marmo della balaustra , il viso della mamma
chinato e quasi incollato al suo, ne ascoltava la voce sussurrante
che le indicava, le spiegava...
“Vedi,
quello è Gesù... vedi come è piccino nella mangiatoia! E guarda
come è dolce il viso della sua mamma, Maria”.
“Ma
anche la Maria che abbiamo a casa...è anche lei la mamma di
Gesù?...e il suo papà dov'è?...che barba lunga, sembra il
nonno...quante pecorelle!...e Gesù non ha paura del bue?”.
Quante
domande,a volte buffe,faceva la bambina e la mamma cercava di trovare
una spiegazione per tutto.
Alla
fine, davanti all'ultimo presepe visitato, il più bello tenuto per
ultimo, vinceva la stanchezza: la mamma non diceva più niente, la
bambina si abbandonava alla visione.
Tornava
a casa silenziosa, stupita ,affascinata, convinta di aver assistito a
una grande fiaba, incomprensibile e dolce, che andava dentro il suo
essere, ma dove non capiva.
Per
fortuna, gli interrogativi inquietanti erano ancora molto, molto
lontani.
La
bambina cresciuta, che non crede di vedere dentro un presepe una
fiaba, mantiene tuttavia quello stupore, e quell'incanto. E si
domanda se in qualche angolo del tempo “liquido” in cui vive
stupore e incanto vivano ancora.
Tutto
il mondo intorno pare negarlo. Forse, però, chissà...
GdL
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