IPOTESI
DI RACCONTO
IPOTESI 1
Aveva
chiuso la porta dietro di sé. E se ne era andata.
In
casa dormivano ancora tutti, erano le sei di una domenica mattina.
Durante
la notte, nella camera che ormai occupava da sola, aveva raccolto
quattro cose: il resto, che le sarebbe servito, lo avrebbe comprato
là dove andava. Aveva sceso le scale in fretta, nel silenzio tombale
del condominio. Poi aveva percorso la strada fino all'angolo, senza
voltarsi. Non si lascia una vita come era stata la sua se non in
fretta, con un taglio netto, prima che ti travolgano i ricordi.
Alla
stazione poca gente. Il treno prenotato da una settimana. Il vagone
vuoto.
Il
posto era vicino al finestrino, come le piaceva. Seduta comodamente,
per un poco aveva guardato il paesaggio che scorreva mentre il
profilo degli alberi, dei monti, emergeva dall'oscurità contro il
cielo rosato.
Ora
si stava concentrando sulla mappa stradale della città dove doveva
recarsi.
Aveva
scelto, per la nuova vita, una città lontana, piccola, a misura
umana, ricca d'arte e giardini.
Aveva
per i primi giorni prenotato un albergo. Una volta arrivata, avrebbe
prima di tutto dormito: dormito e dormito, voleva dormire tanto per
quanto era stata sveglia nelle notti della prima vita...
Nelle
inutili attese. Nelle angosce pst- litigio. Nelle ansie per il
rientro dei figli. “Basta, basta, basta” ritmava il treno sui
binari, chiosava il chiaro-scuro delle gallerie, insisteva il
pallido sole mattutino che entrava e usciva dalle nuvole...mentre il
colpo della serratura del portone che si era chiusa alle spalle
risuonava in lei come un batacchio di campana...
IPOTESI
2
Con
molta attenzione cercava sul pieghevole la zona dove era situata la
nuova abitazione nella città in cui era stato trasferito suo marito,
a seguito di un'eccellente promozione.
Non
ci andava volentieri da sola, ma egli aveva insistito perché si
recasse a vedere l'appartamento che aveva deciso di comprare. Era
tipico di lui: scegliere come gli piaceva, e cercare poi il
consenso, l'obbligatorio consenso. Del resto sapeva scegliere, non lo
si poteva negare .Capì che la casa si trovava in una zona
elegante, centrale. Questo la disturbava: suo marito era un
arrivista, un ambizioso carrierista. Mentre lo sguardo vagava sulla
mappa, il pensiero di una casa ancor più lussuosa di quella in cui
abitavano, di una nuova vita sociale ancora più impegnativa, di
un'attenzione ancor maggiore al proprio look (“Devi imparare a
vestirti”, le aveva detto lui nei primi tempi) la disturbava.
Nata
e cresciuta in campagna, il padre semplice impiegato del comune, era
andata all'università per far contenti i genitori. Senza infamia e
senza gloria si era laureata. Un giorno, mentre seduta sul bordo di
una fontana in una piazza della città leccava un gelato, aveva
notato che un bel giovane , appoggiato ad una lunga automobile rossa,
la guardava insistentemente. Poi si era avvicinato per chiedere
un'informazione, e così...
Alzò
gli occhi dal pieghevole, contemplò il paesaggio che scorreva:
quanto rimpianto aveva per la sua campagna, i suoi boschi, i suoi
prati! Questa promozione del marito, quest'altra vita in una nuova
città la allontanava ancor più da essi.
Avrebbe
distribuito nuovi sorrisi, finto inesistenti interessi, organizzato
faticosissime cene...
Le
cadde il pieghevole dal grembo, si scosse raccogliendolo, si
concentrò sulla mappa. Doveva guardare bene, muoversi sicura, essere
all'altezza...
IPOTESI3
Aveva
preso il dépliant nel bar tabaccheria di fronte alla stazione, dove
era entrata a bere un caffè. Giusto per distrarsi durante il viaggio
e tenere lontani i pensieri che le occupavano la mente.
Le
aveva telefonato due giorni prima, dopo anni, il suo unico cugino.
La conversazione era stata imbarazzante all'inizio, cosa si può dire
a chi non ha da tanto tempo condiviso più niente con te? Le era
sembrato che egli volesse dire qualcosa e non si risolvesse a farlo.
“Allora
come stai? Non vieni mai qui, eh? Ormai sei abituata alla grande
città, noi, poveri provinciali...”.
”
Ma no, cosa dici? Vedi bene come
passa il tempo! Sembra ieri che ci siamo visti...dov'era? Ah, già,
al funerale della zia Flora, vero?”
“Sicuro.
E sai ,ecco, proprio della zia Flora devo parlarti.”
“
O bella. E perché?”
“Beh,
ehm, è successa una cosa...Hanno trovato delle carte, pensa te,
delle carte, e...”
“E
cosa?”
“Pare
che la zia Flora avesse un altro figlio, clandestino, avuto prima del
matrimonio. “
La
zia Flora, morta novantottenne, non aveva avuto figli dal matrimonio
con lo zio Berto. Il cugino al telefono e lei erano gli unici eredi
di un patrimonio cospicuo.
Era
seguito un silenzio carico di sottintesi: quel figlio “illegittimo”
, se veramente esisteva, era il vero unico erede.
Il
cugino al telefono aveva poi insistito perché si vedessero,
bisognava parlare, pensare al da farsi, insomma non era cosa da poco.
Alzò
gli occhi dal dépliant e guardò fuori dal finestrino. Si avvicinava
la sua terra, il paesaggio noto tanto amato, di conifere e monti: la
conca del lago sembrava una culla in cui l'acqua riposasse, ora che
si avvicinava il tramonto. E le dispiacque di tornarci così, per una
brutale questione di soldi. Guardava il veloce scorrere degli alberi,
le case , i giardini ,e tutto le appariva così lontano , come un
mondo di sogni tanto diversi dalla realtà...
©
G.d.L.
0 Commenti:
Posta un commento
Iscriviti a Commenti sul post [Atom]
<< Home page